mercoledì 6 aprile 2011

NON SI FA COSI'


NON SI FA COSI'





Lorenzo entrò nel bar col passo un po’ svogliato di chi vuol far vedere di essere stanco, magari per via di un fantomatico lavoro, e prese uno dei giornali gratuiti che si trovavano su un tavolino.
«Ohi, mister Lorenzo. Ben svegliato», disse l’uomo che era alla cassa degli scontrini. Lorenzo, che stava leggendo i titoli in prima pagina, non gli rispose.
«Va tutto bene, mister?», insistette l’uomo. «Come vanno le cose?»
Lorenzo amava le pause. Avvicinandosi al bancone delle consumazioni, si limitò a dire: «Una favola», senza girarsi.
«Ho capito. E’ una di quelle giornate no», concluse l’uomo alla cassa, ammiccando a un altro uomo.
L'altro uomo stava pulendo con un panno avana di finta renna il lungo bancone di finto marmo in cui si servivano le consumazioni. Guardò Lorenzo con la pazienza di chi è abituato a trattare con gente di ogni genere e propose: «Ci vogliamo tirare su con un caffè bello forte?»
Lorenzo fece una smorfia. «No, meglio un cappuccino.» Pausa. «Con un cornetto caldo.» Pausa. «Come ce l’hai?»
L’uomo del bancone si spostò verso la zona dolciumi. «Di tutti i tipi. Semplice, con la cioccolata, la crema oppure la marmellata.»
Lorenzo assunse un’aria sospettosa. «Marmellata di che?»
L’uomo voltò uno dei cornetti per controllare. «Penso ciliegia.»
L'aria sospettosa di Lorenzo non scomparve. «Dammelo con la crema. Preferisco», concluse, e buttò un'occhiata scettica sulla parte destra del locale.
Da quella parte c’erano i tavolini per sedersi. Sedute a consumare, in quel momento, soltanto tre persone. Amici di Lorenzo, sicuramente, perché gli fecero cenno di avvicinarsi.
«Adesso vengo», assicurò Lorenzo, muovendo senza fretta un braccio in segno di conferma. Intanto però prese il cornetto che gli porgeva l’uomo del banco e gli diede un morso, a cui seguì una nuova pausa di valutazione.
Le pause erano importanti, per Lorenzo, perchè questi intervalli gli servivano per percepire il mondo e per avere coscienza di se stesso. O forse dei cornetti. Insomma, in questo caso dell'interazione tra se stesso e il cibo che mangiava. Per cui con calma diede un secondo morso al suo cornetto, quindi indicò all'uomo del bancone il tavolo degli amici e disse: «Mi porti il cappuccino lì, per favore, e anche un altro cornetto come questo.»
Quando Lorenzo fu finalmente seduto davanti a lui, con l'ultimo pezzo del primo cornetto in mano, l'amico più basso commentò: «Ce l’hai fatta, a venire.»
Pausa.
«Pensavo che eri finito sotto a una macchina», osservò invece l'amico di mezzo, facendo sorridere gli altri due.
Lorenzo finì di mangiare il cornetto senza scomporsi.
«Oh: c'è chi c'è morto, ad aspettare una risposta», sbottò di nuovo l'amico più basso.
Lorenzo scacciò l’aria con una mano. «Lasciatemi stare, che stamattina è stata una levataccia», disse.
L'amico più alto si stupì. ««Te? Una levataccia? E’ quasi mezzogiorno: che levataccia hai fatto? Per fare una levataccia, allora stai parlando di sette ore fa.»
«Ma che sette ore fa! E’ alle dieci di stamattina, che mi sono venuti a rompere i coglioni», scattò Lorenzo, con un'energia inaspettata.
I suoi tre amici, presi alla sprovvista, si presero cinque secondi di silenzio e di riflessione.
«Le dieci di mattina non fanno parte della categoria delle levatacce», osservò con un pizzico di perfidia l'amico più basso.
«Per te che vai a dormire prima di mia nonna», lo fulminò Lorenzo, ancora più irritato, dopodiché guardò il cameriere che si avvicinava per portargli il secondo cornetto col cappuccino e continuò ad alta voce: «Che cazzo campi a fare, vorrei sapere.»
L’amico di mezzo e quello più alto si misero a ridere e il cameriere posò un vassoio davanti a Lorenzo.
«Ti verrà il diabete», disse l’amico più basso, quando Lorenzo versò nella tazzina fumante tre cucchiaini di zucchero. Lo disse per rivalersi, ma Lorenzo non gli badò per nulla.
L'amico di mezzo invece chiese: «E poi chi era, che ti è venuto a svegliare alle dieci?»
Lorenzo, che era impegnato ad asciugarsi la bocca, si limitò a scuotere la testa.
«Ma poi, scusa, tu non sei quello che non apre la porta a nessuno?», osservò l’amico più alto, che aveva buona memoria.
L’amico di mezzo si incuriosì immediatamente. «Cos’è ‘sta storia che non apre a nessuno?»
L’amico più basso colse la palla al balzo per vendicarsi. «Che, non lo sai? Lorenzo non risponde al citofono e neanche alla porta. Tu puoi suonare e bussare quanto ti pare. Lui fa finta di niente e non ti apre nemmeno se muori.»
L’amico di mezzo fece una faccia perplessa. «E perché ‘sta stronzata?», chiese.
«Per non pagare le multe», spiegò l’amico più basso, ridacchiando di gusto.
«Ma va? Davvero? Ma che davvero è così, Lorenzo?», chiese l’amico di mezzo.
Lorenzo smise di bere il suo cappuccino e assunse un’aria pensosa, cercando le parole giuste per spiegare la cosa.
«E’ che le multe io non le pago.» Pausa. «Non le pago e non intendo pagarle mai», sintetizzò.
La cosa, però, non era per niente chiara. Infatti l’amico di mezzo, che aveva bisogno di avere informazioni più chiare, insistette: «E allora? Che centra col fatto del citofono e della porta?»
Lorenzo si passò la lingua sui denti davanti, mentre si concentrava.
«Per farti pagare la multa, te la devono consegnare personalmente. Ti devono trovare e te la devono dare. Se tu non apri a nessuno, non ti possono consegnare nessun avviso di multa e nessuna notifica. Punto», spiegò.
«Va be’, ma se un amico o un parente ti vogliono venire a trovare a casa, allora che devono fare?»
«Mi chiamano sul cellulare. Mi chiamano sul cellulare e ci mettiamo d’accordo.»
Seguirono altri cinque secondi di riflessione. Lo standard temporale per ogni reazione sensata, da parte del gruppo.
«E la faccenda dell’alzataccia?», chiese di nuovo l’amico di mezzo.
«Niente, stavo dormendo tranquillo in camera mia - che ieri notte ho suonato in un pub dall’altra parte del mondo - quando sento suonare al citofono con insistenza, un sacco di volte.»
«E chi era?»
Lorenzo alzò vistosamente le spalle. «E che cazzo ne so? T'ho detto che non rispondo al citofono, io. Mi sono girato nel letto, incazzato nero, e ho aspettato che la facessero finita di suonare.» Pausa. «Magari erano dei ragazzini rompicoglioni.»
L’amico di mezzo annuì.
«Solo che passa un quarto d’ora, venti minuti, penso - io mi ero praticamente riaddormentato - e sento che suonano anche alla porta.» Pausa di riflessione più profonda. «Cazzo.»
Un’altra pausa da parte di tutti.
«E tu non hai aperto nemmeno questa volta», suggerì l’amico più alto, con un po’ di impazienza.
Lorenzo fece una smorfia scandalizzata. «Certo che no. Non apro a nessuno, t’ho detto, se non mi chiamano al cellulare.» Di nuovo pausa. «Solo che questo suonava al campanello esattamente come prima avevano suonato al mio citofono, con la stessa insistenza. Drin, drin, drin, senza piantarla. Insomma, da vero rompicoglioni.»
«Strano», si sentì in dovere di dire l’amico più alto. Anche gli altri due non poterono fare a meno di annuire.
«Mi faceva venire il sangue al cervello», chiarì Lorenzo, toccandosi la testa con un dito. «Avevo un sonno dell’accidente e questo qua suonava senza interruzione.»
«Cazzo. Ce ne sono di matti in giro!», sentì di dovere aggiungere l’amico più alto.
Lorenzo tornò pensieroso.
«Poi a un certo punto l’ha piantata, e pensavo che fosse finita là», disse. «Sembrava che mi potessi riaddormentare in santa pace e stavo lì lì per farlo, quando ho sentito muovere la porta, tric e trac.»
Stavolta si stupì anche l’amico più basso.
«Cavolo! E non ti sei alzato a vedere chi è che rompeva?», chiese.
Lorenzo ingobbì le spalle, in modo aggressivo. «Quando è troppo è troppo. Ho pensato “è quella stronza della donna che mi viene a fare le pulizie”. Una polacca russa rumena che una volta mi capisce e cinque volte no. Cazzo, gliel’ho detto e ridetto che non mi deve rompere prima di mezzogiorno e lei ci ricasca sempre. Allora mi sono alzato e sono andato a cazziarla di brutto, così ho spalancato la porta di scatto.»
Pausa, durante la quale Lorenzo cambiò l’espressione del viso, di colpo sulla difensiva.
«Solo che io abito all’ultimo piano. In quello che era un lavatoio, una volta, e poi hanno cambiato in un appartamentino.» Pausa. «Il fatto è che la mia porta di casa non si apre verso l’interno, come tutte le porte di casa, ma verso l’esterno, perché appunto era un lavatoio.»
«E allora?», lo incalzò l’amico di mezzo, a cui non fregava niente dei lavatoi.
«E allora ho dato una sportellata tremenda a un tizio che stava piegato in avanti dall’altra parte. Così quello ha fatto uno zompo in alto di un metro e mezzo ed è schizzato giù per le scale.»
(... SEGUE)

Dalla raccolta di racconti brevi di Andrea Bellizzi "La gente è strana", Edizioni Simple

IL PESCATORE GENEROSO


Avarizia: totale incapacità di essere generosi.


«Portala a cenare in buon ristorante e diglielo chiaramente.»
Rodolfo accentuò l’espressione pensosa e chiese: «Glielo devo dire chiaramente?»
Giuliano accentuò l'espressione decisa e rispose: «Visto che non capisce o che fa finta di non capire.»
Di fronte a Rodolfo si riaprì un immenso crepaccio di indecisione.
«Ma siamo amici da più di dieci anni... Lei mi considera un amico. Tutti i nostri amici sono abituati a considerarci solo amici!»
Giuliano si tolse la sigaretta di bocca e sbuffò una vistosa nuvola di fumo.
«E chi se ne frega. Che razza di amicizia è, se pensi sempre a metterle le mani addosso?»
Rodolfo apprezzò la schiettezza dell'amico, diretta ma non sboccata, però l'ampiezza del suo personale crepaccio non si ridusse di un centimetro, anzi.
«E perché dovrei dirglielo in un ristorante?»
«In un buon ristorante», lo corresse Giuliano.
«E perché dovrei dirglielo in un buon ristorante?»
«Perché questa Eleonora che ti piace tanto adora i viaggi e mangiare bene. Per cui non mi sembra il tipo che si accontenta di pizza e bruschetta. O no?»
Rodolfo annuì, seppure controvoglia, e Giuliano tirò una pensosa tirata dalla sua sigaretta.
«Hai detto che le piace mangiare il pesce?»
Rodolfo confermò.
«Ne va matta.»
«Allora falla godere. Portala a farsi una scorpacciata di pesce, falle scolare mezza bottiglia di vino, guardala dritta negli occhi e dille che ti fa impazzire.»
«Al ristorante?», chiese conferma Rodolfo, dubbioso.
«Sì.»
«Coi tavoli vicini da cui ci possono sentire?»
Giuliano sbuffò un'altra nuvola di fumo, irritato.
«Che te ne frega a te, di chi ci sta ai tavoli vicini! Tu guarda la tua Eleonora negli occhi verdi e falle capire che sei convinto, deciso. Vuoi solo lei.»
Rodolfo ci pensò su.
«Insomma, ci devo provare in un ristorante.»
«In un buon ristorante», ribadì Giuliano. «Se te la vuoi portare a letto, devi spendere come si deve.»
Rodolfo sentì franare un'altra porzione di parete, fra sé e il maledetto crepaccio.

Rodolfo osservò la lista degli Antipasti, elegantemente trascritta in caratteri pieni di ricciolute escrescenze, e si sentì pervadere da fastidiosi brividi di preoccupazione.
La cosa più economica riportata nella lista erano i "Carciofi alla Romana", da 8,00 euro, mentre la più costosa era un inquietantissimo "Jamon iberico (24 mesi stagionatura)", da ben 26,00 euro.
Si era psicologicamente preparato a spendere al massimo cento euro, ma già gli antipasti rischiavano di mandare a monte ogni previsione.
«Cosa ne pensi di un sauté di cozze e vongole veraci e di qualche ostrica col vino?», propose Eleonora, con un sorriso splendido e il tono di voce di chi si sta divertendo.
12 euro per il sautè e altri 3 per ogni ostrica ordinata.
«Sì, va bene. Le cozze e le vongole mi piacciono. Le ostriche, se vuoi, prendile solo tu. Per me sono troppo... forti. Si sente troppo il sapore di mare. »
«Oh... Allora prendi il carpaccio di polipo. Facciamo un sautè di cozze e vongole e una porzione di carpaccio, e ce le dividiamo metà e metà. Che te ne pare, come idea?»
Carpaccio di polipo 12,00 euro.
«Sì, mi pare una buona idea», ammise Rodolfo, sorridendo a denti stretti.
«E poi, dopo gli antipasti, cosa ti attira di più? La pasta o un bel secondo? Secondo me non ce la facciamo a mangiare tutti e due», osservò Eleonora.
«Sì, hai ragione. Poi va a finire che uno si riempie troppo», confermò Rodolfo. «E non si gusta più quel che si è mangiato.»
Eleonora annuì giudiziosamente.
«Io scelgo un pesce spada al salmoriglio», disse.
18,00 euro.
«E per contorno delle patate al forno, che ne vado matta», continuò.
3,50 euro, verificò Rodolfo. Però poteva andare peggio, tutto sommato.
«E tu, invece?»
Rodolfo controllò la lista dei secondi, sentendosi incalzato.
«Io prendo i calamari alla griglia», disse. Il costo di 14,00 euro gli parve il più ragionevole da sopportare.
«E come contorno?», chiese Eleonora.
Maledizione, anche il contorno.
«Come contorno, dici? Eh... un po' di spinaci all'agro.»
Eleonora approvò. «Buoni.»
Altri 3,50 euro.
Il cameriere, alto, distinto, con un sorriso garbatamente professionale, guardò prima Eleonora e dopo Rodolfo, chiedendo: «I signori hanno già scelto cosa ordinare?»
«Eh... sì. Abbiamo scelto», ammise Rodolfo.
«Come antipasti?»
«Per me, un carpaccio di polipo, per favore.»
«E la signora?»
«Un sautè di cozze e vongole», disse Eleonora. «E un paio di ostriche», aggiunse a sorpresa.
Il cameriere approvò. «Molto bene. E come primi?»
Le ostriche avevano preso Rodolfo un po' alla sprovvista. Altri sette euro di spesa, se ricordava bene.
Il cameriere lo guardò con aria interrogativa.
«Eh... niente primi, grazie. Preferiamo prendere direttamente i secondi», spiegò Rodolfo.
«Va bene. Come secondi?»
«Io prendo i calamari alla griglia, con un contorno di spinaci all'agro.»
«E la signora?»
Eleonora sorrise al cameriere in modo affascinante. «Vorrei un bel pesce spada al salmoriglio e tante patate al forno come contorno.»
Anche il cameriere sorrise. «Un bel piattone di patate al forno. Molto bene. E cosa desiderano da bere?»
Da bere, già. Chissà quanto costavano i vini del locale, si chiese Rodolfo, cercando con nervosismo la pagina dei vini.
«Potrebbe andare bene una Falanghina della Campania. Tu che ne pensi?», disse Eleonora, rivolgendosi a Rodolfo.
Campania, Campania... Rodolfo cercò nella lista dei vini, suddivisa per regione, la parte dedicata alla Campania e finalmente la trovò.
“ Falangina, vendemmia tardiva, 2006 IGT, € 19,00
Falangina, 2007 DOC, € 21,00
Greco di tufo, 2007 DOCG, € 25,00
Fiano di Avellino, 2007 DOCG, € 25,00”
Se non c'era un errore di stampa e la Falanghina era cosa diversa dalla Falangina, il costo del vino era di diciannove euro. Il meno caro, tra i quattro elencati, ma Rodolfo provò lo stesso un istinto di ribellione, pensando a quanto di meno sarebbe costato al supermercato.
«Sì. Mi sembra perfetto», mentì, con un gran sorriso.
«Molto bene», approvò il cameriere. Con un sorriso più convincente di quello di Rodolfo si allontanò.
«Molto bene», ripeté Rodolfo, scuotendo il capo con piccoli scatti successivi, per fare il verso al cameriere. «Adesso porterò a lor signori una raffinatissima tanica di Falanghina antigelo del 2006.»
Eleonora si mise a ridere.
«Ma solo se avete fatto il bollino blu di quest'anno, sia ben chiaro», continuò Rodolfo, sentendosi in uno stato d'animo vendicativo.
«Che matto! Lo stai facendo uguale», concordò con gli occhi che luccicavano di divertimento la sua Eleonora.
Dio, quant'era bella. Sentiva il suo profumo che si spandeva fin dal lato opposto del tavolino e poteva percepire il calore e la morbidezza delle sue guance come se fossero poggiate sul proprio viso.
«Perché mi guardi così?», chiese Eleonora, civettuola.
«Perché sei bellissima», disse Rodolfo.
Lei, pudicamente, si limitò a sorridere e ad abbassare un po' lo sguardo.
Però, diciannove euro per una bottiglia da un litro e mezzo di semplice vino bianco...
L'arrivo di un nuovo cameriere, più dimesso del precedente, interruppe il momento magico o quello che era. Armeggiò con abilità col tappo della bottiglia, fino ad estrarlo, e chiese con lo sguardo a chi doveva versare il primo bicchiere.
«Lo versi alla signorina. E' lei l'esperta», spiegò Rodolfo.
Il liquido dorato si riversò nel calice di Eleonora e lei lo assaggiò con disinvoltura dicendo: «Va bene.»
Il cameriere allora ne versò un altro poco anche nel calice di Rodolfo, quindi si allontanò con discrezione.
«Cin cin, allora», propose Rodolfo.
«Salute e felicità», aggiunse Eleonora.

All'arrivo degli antipasti, gli occhi di Eleonora si spalancarono per l’entusiasmo.
«Sei sicuro di non volerne assaggiare una? Una per me e una per te, dai!»
Rodolfo scosse la testa, sorridendo.
«No, mangiale tutte e due tu. Non ti preoccupare.»
Eleonora mandò giù i sette euro delle due ostriche puzzolenti con evidente soddisfazione.
«Adoro le cozze», sentì il dovere di dire, avvicinando al proprio piatto il sautè di cozze e telline, di dimensioni imperiali.
«Queste però le dividiamo. Passami il piatto», aggiunse, e Rodolfo sorridendo glielo passò.
Buone, erano buone: questo era da ammettere. Rodolfo ne mangiò una decina con un certo gusto.
Eleonora mangiava, commentava e beveva come se fosse l'essere più appagato del mondo. Quando arrivarono anche i secondi, incredibilmente alzò ulteriormente il suo livello di eccitazione.
«Fammi sentire i calamari. Humm, sono buonissimi!», disse.
Rodolfo sorrideva di rimando, in parte soddisfatto per tanta contentezza e in parte deluso dal fatto di non provare le stesse emozioni. Cercò conforto nella bottiglia di vino immersa nel ghiaccio e con orrore si rese conto che era quasi terminata.
«Questo vino è buonissimo», disse Eleonora, finendo il vino che era nel proprio bicchiere.
Rodolfo riempì il suo bicchiere e riempì anche il bicchiere di Eleonora, finendo di scolare la bottiglia.
«Che dici, ne ordiniamo un'altra?», propose, temendo la risposta.
Eleonora si posò una mano tra i seni, sorridendo. «No, per me basta, grazie. Uff, quanto ho bevuto! Però era davvero buono.»
La mano di Eleonora si posò con naturalezza sopra la mano di Rodolfo, in segno di ringraziamento. Rodolfo avvertì una sensazione di piacere che si irradiò lungo tutto il braccio, fino ad esplodere per tutto il petto.
Dio santo, gli piaceva proprio in modo esagerato.

Il primo cameriere, quello che Rodolfo aveva preso in giro, guardò Rodolfo ed Eleonora e con un sorrisetto sicuro cominciò a recitare.
«I signori vogliono un dolce? Abbiamo un ottimo tortino di pere, nocciola e cioccolato bianco, oppure di mandarino con crema di mandarino, una caprese di mandorle cioccolato e pistacchio e la crostata di ricotta e cioccolato. Oppure, per rimanere nell’ambito del cioccolato, la mousse di cioccolato fondente. Se invece lor signori preferiscono i sorbetti, abbiamo il sorbetto al limone, al mandarino, al mirtillo e alla mela verde. Per frutta, l'ananas e tutta la frutta di stagione.»
Rodolfo si sentiva annichilito.
(...segue)

Tratto dallla raccolta di racconti brevi di Andrea Bellizzi "La gente è strana", Edizioni Simple.