sabato 24 gennaio 2009

Peter Buckley: il re dei perdenti

Omaggio al pugile Peter Buckley, il re dei perdenti.

"SE NE VA il re dei perdenti, quello della carriera all'incontrario, quello che il gong l'ha sentito sempre dal tappeto. Il più grande professionista della sconfitta: 256 match persi su 299. Una disgrazia più che una statistica. Peter Buckley, pugile inglese di Birmingham, a 39 anni striscia fuori dal ring. Ha combattuto più di ogni altro al mondo. E non ne può più di occhi neri e di stringere i denti fino all'ultima ripresa. Anche se negli ultimi cinque anni ha rimediato 88 sconfitte consecutive Buckley, che ha attraversato cinque categorie e quattro generazioni di pugili, sul ring non si è risparmiato e ha sempre resistito fino all'ultima ripresa. Un eroe dell'insuccesso, uno che ha incontrato 18 futuri campioni del mondo e si è fatto stampare la faccia da tutti."

Il resto dell'articolo:

http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/persone/peter-buckley/peter-buckley/peter-buckley.html

mercoledì 7 gennaio 2009

Darwin Awards 2008

Sono stati ufficializzati i vincitori del Darwin Awards 2008, il web che premia le morti più stupide di ogni anno oppure gli incidenti che comunque liberano il patrimonio genetico umano dagli esemplari più stupidi.

Articolo e video pubblicato dal quotidiano La Repubblica:
http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/tecn ologia/darwin-awards/darwin-awards/darwin-awa rds.html

Link al sito Darwin Awards:
http://www.darwinawards.com/

venerdì 2 gennaio 2009

La sindrome di Alice nel paese delle meraviglie

Dalla sindrome della mano aliena a quella dell'accento straniero
La «sindrome di Alice nel paese delle meraviglie» e altre malattie incredibili
Il «caso di Benjamin Button» è solo fantasia, ma altre patologie stranissime non lo sono affatto.
Francis Scott Fitzgerald nel 1922 inventò il personaggio di Benjamin Button: l'uomo aveva una malattia che alla nascita gli diede l'aspetto di un ottantenne, ma col passare del tempo il protagonista ringiovaniva anziché invecchiare. Fantasie di un grande romanziere? In questo caso sì, ma stando a quanto riportato dal Wall Street Journal esistono malattie che potrebbero tranquillamente essere parte di una storia inventata. Eppure trovano singolari riscontri nella realtà. Eccone alcune:
* SINDROME DI ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE;
* SINDROME DELL'ACCENTO STRANIERO;
* DISORDINE «ESPLOSIVO» INTERMITTENTE;
* SINDROME DELLA MANO ALIENA;
* DELIRIO DI CAPGRAS;
* DISFONIA SPASMODICA;
* SINDROME DI PARIGI.

Per i dettagli, vedi articolo del Corriere della Sera:
http://www.corriere.it/salute/08_dicembre_30/sindrome_alice_paese_meraviglie_5025b262-d688-11dd-894c-00144f02aabc.shtml

Il 99 stellato (racconto di A.B.)

Non ho mai potuto sopportare di viaggiare sui mezzi pubblici di Nuova Roma. E a ragione.
Stamane mi tocca di montare sul 99 stellato, e sul vapobus vi sono già due casalinghe, un pensionato e un moccioso. Poi salgono uno studente trasandato, un altro vecchietto claudicante e un omone dalla pancia straripante, con la camicia abbondantemente aperta che scopre la canottiera.
L’omone appena entra comincia a lamentarsi del caldo infernale e a sventolarsi energicamente con le pagine di un quotidiano. Raggiunge un sedile dopo il mio e vi si abbandona pesantemente. Dà una buona occhiata a tutti i passeggeri (io sono impassibile) e si rivolge a voce alta al conducente, chiedendogli quand’è che si sarebbe partiti.
Naturalmente l’autista l’ignora e l’uomo rivolge la sua attenzione al moccioso appollaiato su un sedile a lui vicino, chiedendogli come si chiama e quanti anni ha. Il moccioso risponde biascicando un nome da moccioso e l’omone si stupisce. “Ma che bel nome”, dice, e “Eh, ma sei proprio grande” e altre amenità del genere, finché il moccioso non attacca un incomprensibile discorso, intervallato da “eh, eh, eh” e pigolii.
L’omone si diverte un bel po’ ad ascoltare quegli insopportabili sproloqui, poi si ricorda che il tempo passa, e ricomincia a lamentarsi del caldo e del fatto che il vapobus non parte ancora. Il conducente volta un’altra pagina del suo giornale sportivo e fa notare che vi sono orari di marcia da rispettare.
L’omone dice “Sì, sì, la voglia di lavorare” e ci sghignazza sopra. Fa l’occhiolino alla madre del moccioso e dice che gli piacerebbe tornare a casa prima di notte. “Non ci vorrei fare la muffa, qui sopra”, aggiunge, e “Mi piacerebbe essere a casa mia, quando dovrò morire.”
Il tutto fra le risatine di qualche passeggero che incrocia il suo sguardo (io sono impassibile) e il canto giocoso e infernale del moccioso che ormai si è scatenato.
Finalmente l’autista mette in moto la vettura, chiude i battenti delle porte in faccia a uno sconosciuto ansimante, e il 99 stellato dà inizio alla corsa.
Il tempo di completare il giro della piazza, pericolosamente inclinati verso la nostra sinistra, e immediatamente l’omone si alza dal suo posto e suona il campanello di fermata. A occhio e croce neanche trenta metri di distanza, rispetto al capolinea di partenza. L’omone scende lentamente, maestoso e soddisfatto, mentre l’autista bestemmia sommessamente e si intuisce che la madre del moccioso vorrebbe applaudire eccitata.
La corsa riprende e a una delle fermate successive sale una mezza dozzina di uomini della milizia. Sono in tenuta d’azione, con tute mimetiche, enormi scarponi, gli zaini e le manette che pendono dagli elmetti coperti di codi. Si sistemano ordinatamente, in piedi, vicino alla porta d’uscita, mentre uno di loro (probabilmente il capo) prima paga i biglietti, poi li raggiunge. Sembra istruirli con brevi parole, dà loro qualche pacca cameratesca, quindi li avverte di tenersi pronti e schiaccia il pulsante di fermata.
Il vapobus si arresta e le sue porte si spalancano: uno alla volta i soldati saltano, gridando ognuno il proprio nome ad alta voce. Il capo li osserva con espressione soddisfatta, dà un’ultima controllata al suo paracadute, infine salta urlando più forte di tutti, e il 99 stellato può ripartire.
Di fronte a me un giovanotto dalle trecce color indaco, appena salito, mi lancia un’occhiata di odio spontaneo e torna ad ascoltare il bollettino d’inquinamento allucinogeno sul suo comunicatore multifunzionale da polso. Il bastardo tecnologico ha un guinzaglio intorno al polso sinistro e un mini cucciolo viola, griffato, che spunta da un tascone della sua casacca termoadattiva, griffata.
Il canegatto tira fuori una lingua minuscola e mi guarda uggiolando. Apre la bocca e ne esce fuori una lingua minuscola. La lingua scivola in direzione del mio piede sinistro, come una stella filante, e come arriva a tiro la schiaccio con la punta della scarpa.
Il canegatto uggiola con un’ottava più alta ed il padrone controlla. Il suo sguardo analizza il perimetro circostante e per tre secondi si sofferma su tre soggetti. I sospetti del bastardo tecnologico si concentrano sul vecchietto con il bastone alla mia destra (io sono impassibile), quindi comincia una guerra di intimidazioni e di minacce velate.
Povero vecchio, penso, in un angolo remoto dei miei ricordi. Però mi sbaglio. Il vecchio ha un tatuaggio yakuza sul polso destro e dalla punta del suo bastone esce la punta di una lama.
Non voglio essere coinvolto e mi alzo per scendere alla prossima fermata. Tra l’altro il moccioso sbraita un’unica, ossessionante strofa di canzonetta da molto tempo (la mia palpebra sinistra trema in modo irritante).
Intuisco movimenti veloci e superfici corporee che si recidono, alle mie spalle. Veloce, apro la mia valigetta ventiquattrore mentre cammino, tiro fuori la ciambella informe e la gonfio soffiando con impazienza. Suono il pulsante di fermata, intanto.
Non appena la ciambella è sufficientemente pronta, la passo sopra la testa e la tengo ferma sui fianchi. La fermata che viene è su un tratto allagato, per sedare la folla. Le porte si spalancano ed il moccioso continua a cantare a squarciagola.
99 stellato di merda. Preferisco farmi il resto del tragitto a mollo, piuttosto che restare ancora in questa gabbia di matti.
“Tasso di inquinamento 75/100”, segnala una boa allucinogena, mentre sto saltando.
Spero soltanto che l’acqua non sia troppo fredda.