sabato 8 maggio 2010

In nomine rock


Osvaldo Di Persio impazzì il 3 febbraio 2010, a partire dalle dieci e dieci minuti di sera, quando ascoltò alla radio il brano “Male di miele” degli After Hours.
Impazzì a partire dalle dieci e dieci perchè non è che sbroccò di colpo, tipo: “Ah. Ho sentito la musica degli After Hours e sono diventato matto”, ma perchè da quel momento cominciò a non essere più normale.
Il fatto è che pensò: “Come è possibile? Questi qui cantano musica rock in italiano. E suonano duro come i Led Zeppelin e i Deep Purple. Neanche il Banco del Mutuo Soccorso e la Premiata Forneria Marconi suonavano così. E sono passati decenni, da quegli anni.”
Sono passati decenni. Provò il bisogno di appoggiarsi a qualcosa, di fronte a questa banalità.
C'era una volta in cui sapeva tutto, dei Led Zeppelin. Il loro primo album, per esempio, intitolato semplicemente “Led Zeppelin”, uscì nel 1969. Ossia più di quattro decenni fa. Il fuoco che nella mitica copertina bruciava un mastodontico dirigibile, incendiò immediatamente anche gran parte della sua anima. Al punto che con l'uscita del secondo album, a fine '69, prese vita anche il suo secondo nome, il nome più vero, col quale Osvaldo venne chiamato per tutti gli anni settanta e ottanta, da tutti gli amici.
Ora come ora, invece, il signor Di Persio era tagliato fuori dalla musica rock. Non sapeva niente di niente dei gruppi rock italiani attuali. Non conosceva gli After Hours, i Subsonica, i Verdena, i Bud Spencer Blues Explosion e compagnia bella. Da quando era Amministratore Unico di un'insulsa piccola società di servizi, ascoltava soltanto la radio installata nella sua claustrofobica BMW serie 1, perennemente sintonizzata su reti commerciali, per cui era assolutamente all'oscuro di quanto avveniva nel mondo musicale più alternativo.
Lui apparteneva all'era dei Led Zeppelin e dei Deep Purple; si ricordava dei Metallica e degli AC/DC. Lui - così, di colpo - per colpa di quei poppanti degli After Hours, risprofondò nella tempesta ormonica della musica assassina che ascoltava quando a sua volta era un poppante, di un metro e ottanta di altezza e 105 chili di peso.

(... continua)

Racconto pubblicato nella raccolta "Scantinati per meduse e fiori di cristallo", dedicata alla follia, di Giulio Perrone Editore, www.perronelab.it.

Facezie - 03

L’amore è un sentimento bellissimo che ogni uomo dovrebbe avere il sacrosanto diritto di provare.
Per questo le escort della nostra ditta fanno sconti per comitive.

Non si fa così


Lorenzo entrò nel bar col passo un po’ svogliato di chi vuol far vedere di essere stanco, magari per via di un fantomatico lavoro, e prese uno dei giornali gratuiti che si trovavano su un tavolino.
«Ohi, mister Lorenzo. Ben svegliato», disse l’uomo che era alla cassa degli scontrini. Lorenzo, che stava i titoli in prima pagina, non rispose.
«Va tutto bene, mister?», insistette l’uomo. «Come vanno le cose?»
Lorenzo amava le pause. Avvicinandosi al bancone delle consumazioni, si limitò a dire: «Una favola», senza girarsi.
«Ho capito. E’ una di quelle giornate no», concluse l’uomo alla cassa, ammiccando a un altro uomo.
L'altro uomo stava pulendo il lungo bancone di finto marmo con un panno avana di finta renna. Guardò Lorenzo con l’aria paziente di chi è abituato a gente di ogni tipo e quando arrivò al bancone gli chiese: «Ci vogliamo tirare su con un caffè bello forte?»
Lorenzo fece una smorfia. «No, meglio un cappuccino.» Pausa. «Con un cornetto caldo.» Pausa. «Come ce li hai?»
L’uomo del bancone si spostò verso la zona dolciumi. «Di tutti i tipi. Semplici, con la cioccolata, la crema oppure la marmellata.»
Lorenzo assunse un’aria sospettosa. «Marmellata di che?»
L’uomo voltò uno dei cornetti per dargli un’occhiata più professionale. «Penso di ciliegia. Oppure di fragola, può darsi.»
L'aria sospettosa di Lorenzo non scomparve. «Dammelo con la crema. Preferisco», concluse, e degnò di un'occhiata scettica la parte destra del locale.
Da quella parte c’erano i tavolini per sedersi: seduti a consumare, in quel momento, soltanto tre persone. Amici di Lorenzo, perché gli fecero cenno di avvicinarsi.
«Adesso vengo», assicurò Lorenzo, muovendo senza fretta un braccio in segno di conferma. Intanto però prese il cornetto che gli porgeva l’uomo del banco e gli diede un morso di controllo, a cui seguì una nuova pausa.
Le pause erano importanti, perché Lorenzo era un tipo riflessivo. Quegli intervalli di valutazione tra un morso e l'altro, gli servivano per percepire il mondo e per prendere coscienza di se stesso. O forse del cornetto. Insomma, dell'interazione tra se stesso e il cibo che mangiava. Per cui con grande calma filosofica diede un secondo morso al suo cornetto, quindi indicò all'uomo del bancone il tavolo degli amici e disse: «Mi porti il cappuccino lì, per favore, e anche un altro cornetto come questo.»
Quando Lorenzo fu finalmente seduto davanti a lui, con l'ultimo pezzo del primo cornetto in mano, l'amico più basso commentò: «Ce l’hai fatta, a venire.»
Pausa.
«Pensavo che eri finito sotto a una macchina», osservò invece l'amico di mezzo, facendo sorridere gli altri. Lorenzo però finì di mangiare il cornetto senza scomporsi.
«Oh: c'è chi c'è morto, ad aspettare una risposta», sbottò di nuovo l'amico più basso.
Lorenzo scacciò l’aria con una mano. «Lasciatemi stare, che stamattina è stata una levataccia», disse.
L'amico più alto si stupì. ««Te? Una levataccia? E’ quasi mezzogiorno: che levataccia hai fatto? Per fare una levataccia, allora stai parlando di sette ore fa.»
«Ma che sette ore fa! E’ alle dieci di stamattina, che mi sono venuti a rompere i coglioni», scattò Lorenzo, con un'energia inaspettata.
I suoi tre amici, presi alla sprovvista, si presero cinque secondi di silenzio e di riflessione.
«Le dieci di mattina non fanno parte della categoria delle levatacce», osservò con un pizzico di perfidia l'amico più basso.
«Per te che vai a dormire prima di mia nonna», lo fulminò Lorenzo, ancora più irritato, dopodiché osservò il cameriere che gli portava il secondo cornetto col cappuccino, e rifletté ad alta voce: «Che cazzo campi a fare, vorrei sapere.»
L’amico di mezzo e quello più alto si misero a ridere, per via della parolaccia, e il cameriere posò un vassoio davanti a Lorenzo.

(... continua)

Racconto pubblicato da Giulio Perrone Editore nella raccolta "Al bar".