sabato 14 marzo 2009

Dolcetto o scherzetto


“Drin!”, suonò il campanello, e dopo una decina di secondi la porta dell'interno 4, terzo piano scala A, si aprì di tre quarti.
«Sì?», chiese il signor Paoletti, sui settant'anni, magro, e la ragazzina sul pianerottolo, ancora più magra del signor Paoletti e dalla carnagione molto chiara, disse con voce triste: «Dolcetto o scherzetto.»
Il signor Paoletti aggrottò la fronte. «Cosa? Che cosa hai detto?»
«Dolcetto o scherzetto», ripeté la ragazzina.
«Che dolcetto? Non ho capito.»
La ragazzina, vestita di rosso, con un cappuccio d'altri tempi, tese le braccia in avanti, per far vedere il sacco che aveva con sé.
«Non ti capisco, ragazzina», disse il signor Paoletti, e per cercare aiuto chiamò sua moglie: «Pina!»
La ragazzina restò in attesa, senza cambiare espressione. Anche il signor Paoletti rimase con i suoi dubbi, finché non arrivò la moglie.
«Che c'è, Tonino?»
«Non lo so. C'è una ragazzina vestita in modo strano che vuole qualcosa, ma non ho capito che.»
La signora Pina guardò la ragazzina sorridendo. «Ciao. Che cosa vuoi, carina?»
La ragazzina ripeté: «Dolcetto o scherzetto» e mostrò il suo sacco anche alla signora Pina.
«Ah, ho capito. Dolcetto o scherzetto. Entra, carina. Adesso vediamo di trovare qualcosa.»
La ragazzina entrò nell'ingresso e il signor Paoletti chiese a sua moglie: «Cos'è questa cosa di dolcetto e scherzetto?»
«Dolcetto “o” scherzetto. E' un'usanza di quando si festeggia Halloween.»
Il signor Paoletti aggrottò di nuovo la fronte. «Allo che?»
La signora Pina sorrise. «Halloween. E' la vigilia di Ognissanti. La vigilia del 1° novembre, cioè domani. I ragazzini la festeggiano mettendosi un costume, come a carnevale. Lei per esempio si è vestita da Cappuccetto Rosso.» E sorrise anche alla bambina. «E' un costume molto carino.»
«E' da quando si usa questa cosa?», chiese il signor Paoletti.
«Da un sacco di tempo. E' un'usanza che viene dagli americani.»
Il signor Paoletti guardò la ragazzina straniera con espressione critica. «Non siamo in America, qui», disse, e si allontanò.
La signora Pina indicò alla ragazzina il divano che si si trovava in salotto. «Siedi, carina. Come ti chiami?»
La ragazzina si mise seduta dicendo: «Candya.» Passati alcuni secondi aggiunse: «Calyme.»
«Ah, Calyme. I nuovi inquilini del settimo piano. Mi sembra che hai dei fratellini.»
La ragazzina annuì. «Sì. Quattro fratelli.» Di nuovo passarono alcuni secondi. «Due maschi e due femmine.»
«Accipicchia, siete cinque fratelli! Allora bisognerà trovare parecchi dolci. Intanto prendi questi.» La signora Pina diede alla ragazzina una vaschetta di porcellana con dentro dei cioccolatini, che erano già nel salotto per ogni eventuale visitatore.
La ragazzina prese un cioccolatino con la carta stagnola rossa, lo scartò e lo mise in bocca con espressione seria. Iniziò a masticarlo lentamente, tenendo gli occhi chiusi, e nonostante che la mimica del suo viso non subisse variazioni, la carnagione troppo chiara prese subito colore, scurendosi gradevolmente per il piacere.
La signora Pina, accorgendosi dell'effetto benefico del cioccolatino, si alzò dicendo: «Adesso vado in cucina, a rimediare altri dolci anche per i tuoi fratellini.»
La ragazzina rimase da sola nel salotto, e si guardò intorno con attenzione.
Finita l'esplorazione si concentrò di nuovo sulla vaschetta di porcellana. Scartò un altro cioccolatino e se lo mise in bocca, chiudendo gli occhi nuovamente.
La pelle del suo viso si scurì, com'era già successo col primo cioccolatino, e sempre con gli occhi chiusi mormorò piano: «Moaaao.»
Passarono sei secondi.
Un altro miagoliò rispose a quello della ragazzina.
Candya riaprì i suoi occhi e guardò il gatto della signora Pina, il quale ricambiò lo sguardo da pari a pari. Si trattava di un Ragdol color cioccolato, dal pelo morbido e setoso, pesante più di dieci chili.
La ragazzina ripeté: «Moaaao», e il grosso gatto l'ascoltò con attenzione.
Passarono ancora due minuti.
La signora Pina tornò con tavolette di cioccolata e tante caramelle.
«Ecco qui, carina. Penso che così faremo contenti anche i tuoi fratelli.»
«Grazie, signora», disse la ragazzina, con voce educata e un sorriso incerto, aprendo il suo sacco per metterci dentro tutti i dolcetti.
«Di niente, cara. E mi raccomando, salutami la mamma.»
«Sì, signora. Grazie ancora.»
La signora Pina accompagnò la ragazzina fino all'uscio, e prima di richiudere disse ancora: «Ciao, carina. Ciao.»
La ragazzina sorrise timidamente e dalle scale rispose: «Ciao.»
Teneva il sacco stringendolo forte con ambedue le mani, poiché pesava alquanto di più di quando era scesa.
Dentro l'appartamento all'interno 4, la signora Pina, di buonumore, cercò il suo gatto per dare anche a lui un bocconcino prelibato.
«Sultano!», chiamò, ma quel briccone non si fece vedere perché chissà dove si era nascosto.
Nell'appartamento all'interno 13, invece, Candya stava già lavorando.
Con le grosse forbici da cucina cominciò a tagliare la pelliccia setosa del gatto, e sentì la propria bocca riempirsi di saliva gustosa e la pelle del corpo formicolare, mentre tagliava.
Cioccolatini e caramelle erano molto gradevoli e le davano eccitazione, com'era per tutto il cibo, ma ciò che le piaceva di più era il sapore di carne alla brace, con un sughino di sangue.
Sorrise e avvampò di contentezza, a questo pensiero. Sì, non c'era nient'altro di più gustoso.


(racconto pubblicato da Giulio Perrone Editore, nella raccolta "La Gola", collana LAB)

Mi ami?


«Mi ami?», chiese Ludovica.
«Sì», rispose Anton Giulio.
«Mi ami veramente?», chiese Ludovica.
«Sì», rispose Anton Giulio.
«E quanto è grande il tuo amore?», chiese Ludovica.
«Non conosce limiti», rispose Anton Giulio.
«E faresti qualsiasi cosa, per me? », chiese Ludovica.
«Qualsiasi cosa», rispose Anton Giulio.
«Allora ruberesti, se te lo chiedessi», disse Ludovica.
«Anche a mia madre», disse Anton Giulio.
«E uccideresti, anche?», chiese Ludovica.
«La mia intera famiglia e i miei migliori amici», rispose Anton Giulio.
«Quindi faresti tutto, per me», disse Ludovica.
«Qualsiasi cosa», disse Anton Giulio.
«Allora odiami, perché mi sono innamorata di un altro», si sfogò Ludovica, con evidenti segni di liberazione.
Due giorni prima, una manciata di ore passate, Ludovica aveva detto ad Anton Giulio di amarlo moltissimo. Per l’esattezza aggiungendo: «Non ho mai conosciuto, prima, un uomo dolce come te.»
Anton Giulio guardò Ludovica, pensandoci su.
«E non fissarmi con quell'aria da vittima», si spazientì Ludovica. «Mi sono innamorata di un altro e non è colpa di nessuno.»
Allora Anton Giulio le diede un pugno in viso, facendola svenire.

Anton Giulio prese la borsa con dentro le chiavi della Volkswagen, che aveva comprato a Ludovica il giorno del loro anniversario, e sbatté la vettura - che era di un bel rosso metallizzato - di punta, di fianco e di coda contro il muretto della villetta al mare in cui si trovavano.
Pensando alla villetta, che un suo amico agente immobiliare aveva rimediato per Ludovica ad un vero prezzo d’affare, rientrò dentro la casa, aprì tutti i rubinetti del bagno e della cucina, tappò gli scarichi dei lavandini, e con dei rossetti che trovò in un armadietto disegnò diciassette piselli stilizzati ma ben identificabili sulle pareti candide della camera da letto.
Tornando a casa con la propria Opel station wagon, telefonò alla migliore amica di Ludovica per un appuntamento. In poco tempo ci si mise insieme.
A lei raccontò con calma e con dovizia di particolari i gusti sessuali dell'ex fidanzata, i segreti più intimi, le invidie e le paure più nascoste.

Ora Anton Giulio vive con Melissa da due anni a Palombara Sabina - la parte nuova della ridente cittadina – dove trascorre una vita serena e regolare.
Si innervosisce soltanto quando la moglie a volte gli chiede quanto l’ama.
Allora può capitare che si sieda in silenzio per terra, sulle piastrelle del parquet di pregio, abbracciandosi le gambe e dondolandosi per una mezz'ora.
A parte questo, Anton Giulio è felice.
A parte questo, anche Melissa è felice.
Di Ludovica invece non si sa più nulla.


(racconto pubblicato da Giulio Perrone Editore, nella raccolta "Il Desiderio", collana LAB)