venerdì 10 luglio 2009

Questione di spazio


Avete presente l’odore di macchina nuova che certe macchine nuove emanano rispetto alle altre? E’ l'odore dell’auto che vi è piaciuta di più prima di fare l’acquisto. Quella che a stringere forte il volante vi ha fatto sentire i padroni. Quella con il posto guida così comodo e il parabrezza così pulito da trasformare immediatamente il mondo esterno in un posto migliore.
Il signor Giacomelli si sentiva così: in un mondo migliore. La macchina nuova ronfava come un gatto, obbedendo in modo docile ai movimenti dei suoi polsi, e il signor Giacomelli, che aveva appena compiuto settanta primavere, pensava al fatto che un uomo ha diritto alle sue soddisfazioni.
“Mi sono fatto proprio un bel regalo”, si disse, superando la piramide Cestia e immettendosi ad andatura tranquilla all'imbocco della via Ostiense. La macchina profumava proprio di nuovo.
Su un’altra auto, proveniente da viale Marconi, l’ispettore capo Noreligi pensava all’onorevole Tortacava che si trovava nell’automobile blu che precedeva la sua, e si sentiva il nervoso salire. Non era nato per fare la scorta a parlamentari viziati, ma nonostante le sue resistenze gli avevano dato l’ordine di proteggere un pallone gonfiato, assegnandogli anche degli agenti che non conosceva.
Sulla sua bicicletta vissuta, Moreno Marchigiani pedalava invece per via del Porto Fluviale con l'andatura regolare del professionista. Portava sulla schiena uno zainetto con dentro due birre e dei volantini per la manifestazione di protesta che stavano organizzando. Quei porci della Inutech volevano licenziare il cinquanta per cento del personale ed i compagni che si erano messi contro la dirigenza e la rappresentanza, e qualche cosa bisognava fare prima della chiusura parziale d’agosto.
Moreno portava le cuffie e stava ascoltando “Taste the Pain” dei Red Hot Chili Peppers, perciò lì per lì non capì per quale cazzo di motivo le macchine davanti a lui si stavano spostando a destra, chiudendo il passaggio per lui e la sua bici; si rese conto che le stavano costringendo quando un’automobile blu con il lampeggiante acceso, seguita da altri due macchinoni, li superò tutti a sirene spiegate.
- Bastardi figli di puttana – mormorò, a denti stretti. Se ne avesse avuto il potere, le avrebbe fatte esplodere con la semplice forza del pensiero.
Claudia Policami, nella sua Matiz color puffo, stava anche lei percorrendo via del Porto Fluviale, con l’intenzione di girare a sinistra all’incrocio, per imboccare via delle Conce. Doveva andare al Testaccio, a teatro, per le prove della commedia “Casa di cura Othello Holiday”, in cui recitava. Paurosamente in ritardo, come di solito, picchiettava col palmo delle mani sopra il volante immobile, maledicendo la fila di macchine ferme davanti e accanto alla sua.
Il semaforo che si trovava all’incrocio tra via del Porto Fluviale e via delle Conce, molto vicino all’altro semaforo tra via del Porto Fluviale e la lunghissima via Ostiense, non riusciva a fare passare tutti prima che terminasse il verde. Quando scattava il rosso diverse macchine restavano ancora là, in mezzo all’incrocio, e allora si incasinava tutto.
Oggi era uno di quei giorni in cui l’incasinamento era particolarmente intenso, e l’arrivo delle tre automobili blu, col deputato e la rumorosa scorta, di certo non migliorò la situazione.
- Cazzo, è tutto bloccato - constatò l’agente Lattuso, che stava accanto al posto di guida della prima vettura.
- Qui ci perdiamo mezz'ora - confermò l'agente Piana, che era il pilota.
Lattuso si sporse fuori dal finestrino e cominciò a gridare e ad agitare la paletta di segnalazione.
- Via, via! Spostatevi! Via!
Le automobili che si trovavano a destra dell'auto di Lattuso provarono a spingersi ancora più di lato, ma c'era il bordo del marciapiede, piuttosto alto, e più di tanto non si potevano spostare.
- Stronzi di merda - disse l'agente Lattuso, e l'agente Piana chiese: - Che facciamo?
Il deputato Massimiliano Tortacava, che aveva diritto alla scorta perchè qualcuno gli aveva scritto sotto casa: "Attento Tortacava: per te niente torta, ma una pallottola a punta cava", a lettere rosso sangue, con il disegno di una stella a cinque punte, pensava a quella stupida di Loredana che non rispondeva al telefonino. L'aveva viziata troppo, quella stronza. Con tutti i regali che gli faceva, si permetteva di fare la preziosa.
- Siamo bloccati, onorevole.
Il deputato smise di fissare il telefonino.
- Eh? Che cosa?
L'autista indicò il muro di macchine davanti a loro.
- Siamo bloccati, c'è un ingorgo al semaforo. La macchina di punta non riesce a farsi spazio.
Il deputato si irritò immediatamente.
- Come sarebbe a dire? Lo sanno fare il loro lavoro o no? Suonagli il clacson e fagli segno che dobbiamo passare - tagliò corto. Doveva arrivare a casa di Loredana al più presto. Voleva proprio vedere se quattro pezzenti potevano rallentare l'auto di un parlamentare.
L'autista del deputato premette il clacson un paio di volte e nella macchina avanti due uomini si voltarono per guardarlo.
- Avanti, andate avanti - disse l'autista di Tortacava, scandendo con attenzione le parole e facendo segno di avanzare, e uno due uomini tradusse: - L'autista dell'onorevole ha fatto segno che dobbiamo passare.
- E dove cazzo passiamo, se è tutto bloccato? - protestò Lattuso.
- Passiamo a sinistra, andiamo contromano - propose Piana.
L'agente Lattuso ci pensò su. Alla loro sinistra, nella corsia di senso opposto, qualcosa si muoveva, appena appena. Di qualche passettino le macchine avanzavano, anche se in direzione contraria, e poi così aveva la scusa per fare casino.
- Okay. Ti faccio spazio - disse, scendendo dalla vettura.
Il pilota della seconda macchina di scorta, dietro l'Audi 4 dell'onorevole, informò il suo superiore.
- Comandante, uno dei nostri è sceso.
L'ispettore capo Noreligi inarcò le sopracciglia.
- Come sarebbe a dire?
Il pilota della seconda macchina indicò con la mano destra Lattuso, che si era già portato nella corsia opposta e aveva cominciato ad agitare la paletta di segnalazione e a minacciare.
- Avanti, muoversi! Spostate 'ste cazzo di macchine, dai!
L'autista della prima macchina blu, Piana, cominciò a fare retromarcia, rombando a singhiozzo. Sterzò tutto a sinistra e s'insinuò di forza nello spazio ridotto messo a disposizione dalle automobile spostate da Lattuso, che si stava divertendo a morte a fare la parte dell'incazzato.
- Vai avanti, muoviti! E tu che cazzo stai aspettando? Fatti da parte... Sali sul marciapiede, no?
Il vice ispettore Noreligi, che solamente in parte riusciva a vedere ciò che stava accadendo, era irritato e sorpreso.
- Ma chi diavolo è sceso dalla macchina? E che accidenti sta combinando?
- Si tratta di Lattuso, comandante. E' un tipo particolare - spiegò il suo pilota.
L'agente Lattuso, intanto, era arrivato di fronte all'auto nuova del signor Giacomelli, al limite dell'incrocio tra via del Porto Fluviale e via delle Conce.
- Oh! Levati di torno, fai marcia indietro! - ordinò Lattuso, a muso duro, ma il signor Giacomelli, regolarmente impostato per percorrere via del Porto Fluviale in direzione opposta a quella della polizia, non capì che cosa intendeva dire.
- Ti ho detto di fare marcia indietro. Spostami 'sto cassone! - ribadì l'agente Lattuso, agitando la paletta di segnalazione a titolo esplicativo.
Claudia Policami, ancora incastrata nella corsia che avrebbe dovuto percorrere la scorta dell'onorevole, guardò l'agente di polizia alla sua sinistra sentendosi sconcertata.
- Mi senti o no? Ti sei rincoglionito? - chiese Lattuso, battendo il palmo della mano sinistra sulla portiera dell'automobile nuova di Giacomelli, che sobbalzò.
Claudia Policami a questo punto non seppe trattenersi.
- Ehi! Non sta esagerando? - protestò, ma l'agente di polizia non le diede alcun peso. - E sposta 'sta macchina del cazzo, ho detto! - continuò, dando un'altra manata sulla Skoda del povero Giacomelli, che ormai era andato nel pallone.
- Ehi! Che razza di modo è questo? Non lo vede che non può fare retromarcia? Ma dove vuole che vada? - protestò di nuovo Claudia Policami, sentendosi in dovere di intervenire.
Stavolta Lattuso si voltò. - Lei non si impicci. Anzi, si faccia da parte, e in fretta.
Ma Claudia Policami ormai si era arrabbiata. Non poteva farsi mettere sotto da un poliziotto culturalmente inferiore e ignorante: - E dove cavolo vuole che vada? Adesso scavalco tutti con un salto, eh?
Moreno Marchigiani, con la sua bicicletta, era arrivato all'incrocio anche lui. Guardando il comportamento del poliziotto a piedi e l'automobile blu che voleva passare contromano per forza, si era sentito subito ribollire.
"Poliziotti di merda. Ci godono a fare i prepotenti", pensò. A lui però non facevano paura. Li aveva già affrontati e sapeva come trattarli.
- Non faccia la spiritosa e si tolga di torno - tagliò corto Lattuso, guardandosi nervosamente intorno per valutare la situazione. Per colpa di quel vecchio rincoglionito e della sua merda di macchina rumena, la scorta non poteva avanzare oltre. Decise di fare arretrare le macchine che stavano dietro alla Skoda, allora, ma prima sparò un altro paio di insulti sprezzanti verso il signor Giacomelli e sputò per terra, per ricaricarsi e far capire a tutti chi è che comandava.
Nell'auto di scorta del vice ispettore Noreligi, quest'ultimo si rivolse al suo pilota con tono spazientito.
- Allora? 'Sta radio funziona o non funziona?
- Mi spiace, comandante. Non capisco perché, ma non funziona - l'informò il pilota.
Ci mancava soltanto questa. Noreligi valutò se fosse il caso di scendere per andare a vedere che cosa stava succedendo, ma fuori dall'auto faceva un caldo feroce e francamente non ne aveva nessuna voglia. Se fare la scorta non gli piaceva, mettersi a fare il vigile urbano per districare l'ingorgo gli piaceva ancora di meno. Alla fine decise di fare scendere quello che, tra quei sottoposti di bassa manovalanza che gli avevano affibiato, gli sembrava tutto sommato il meno peggio.
- Colasanti, vai a vedere tu che succede - ordinò.
Moreno Marchigiani nello stesso istante aprì lo zainetto e prese ciò che doveva prendere, tenendolo ben stretto dentro la mano sinistra.
"Secco e cattivo", cominciò a ripetersi mentalmente, quindi si tirò su il cappuccio della felpa, per nascondere il viso. Esattamente come capitava l'istante prima di uno scontro di piazza, si sentiva di colpo il più forte di tutti.

(... continua)

Racconto pubblicato da Giulio Perrone Editore, nella raccolta dedicata a "La Superbia", collana LAB.

domenica 5 luglio 2009

Voglia di lavorare


Diciotto luglio, tre e un quarto del pomeriggio. Piazza Ara Coeli, a Roma, è come un’isola circondata dal sole e dall’afa.
Due grossi autobus verdi, immobili nei rispettivi rettangoli del capolinea, sembrano capodogli abbandonati nel Sahara. L’autobus 91 è ancora vuoto.
Il primo passeggero a salire è un signore in giacca e cravatta, di età indefinibile, con una borsa da avvocato; il secondo e il terzo passeggero sono una signora piuttosto attraente col suo bambino; il quarto passeggero è un omone corpulento, che si siede sul proprio sedile con un grande sospiro.
L’omone ha scelto un posto che non è rivolto in avanti, verso il muso della vettura, ma è sistemato di traverso, faccia a faccia con un'altra fila di sedili. In questo modo ha esattamente di fronte la signora con il bambino, mentre alla sua destra, qualche sedile dopo, ha il signore con la borsa da avvocato.
- Che caldo terribile - dice l’omone a tutti, asciugandosi il collo con un fazzoletto di cotone. E' sulla sessantina e ha le maniche della camicia rimboccate, a scoprire le braccia ancora robuste. Alla signora chiede: - E' molto tempo che aspettate di partire?
La signora sorride timidamente. - Veramente sono salita solo da un paio di minuti.
L'omone annuisce e si rivolge all'uomo con la borsa da avvocato: - E lei? Sta aspettando da molto?
Il professionista risponde in tono asciutto.
- Io sono salito un attimo prima della signora.
- Ah.
C'è "ah" e "ah", e quello dell'omone non è un "ah" di soddisfazione. Si guarda un poco intorno, per valutare la situazione, dopodichè si rivolge di nuovo alla signora.
- Che bel bambino simpatico. Quanti anni ha?
Il bambino in questione, seduto a gambe penzoloni accanto alla mammina, comincia a battere i talloni contro la base del sedile.
La signora sorride e dice: - Quattro anni e mezzo - accarezzandogli la testa. Immediatamente il piccolo prende a battere i piedi ancora più forte.
- E come ti chiami, eh? - insiste l'omone, che sembra averci preso gusto.
Il bambino si protende in avanti e si gonfia come un rospo.
- Alessandro! - proclama, con voce stridula, facendo sussultare il signore con la borsa.
Salgono altri tre passeggeri: due ragazze dalla carnagione molto pallida e un ragazzo con gli occhi a mandorla. Prendono posto in tre sedili uno dietro l'altro, sul lato destro quasi in fondo alla vettura, e dal loro aspetto si capisce che sono stranieri.
L'omone li valuta con aria scettica, continuando a tamponarsi il sudore con il fazzoletto. Ha i primi due bottoni in alto della camicia bianca sbottonati e da sotto sporge il colletto di una canottiera.
- So la canzone di Furia - dichiara il figlio della signora, smettendo di battere i talloni.
L'omone dice: - Ah sì? Che bravo - e subito dopo aggiunge: - Ma non parte mai, quest'autobus? L'autista se ne è andato al bar, scommetto; mentre noi, qui, ci schiattiamo di caldo!
La lamentela è chiara, l'accusa pure. Si spandono dentro la vettura, con energia inaspettata, però non producono particolari risultati.
Nessun commento da parte del signore in giacca e cravatta, che tira fuori dalla sua borsa un quotidiano spiegazzato; soltanto un sorriso incerto dalla bella signora, che sposta lo sguardo verso un punto indefinito al di là dei finestrini; un paio di risatine prive di significato dalle due ragazze pallide e stato d'allerta da parte dell'amico asiatico, che le tiene d'occhio come un cane pastore con due pecorelle.
Solo il bambino riprende l'iniziativa.
- Ti canto la canzone di Furia, eh? - propone, con aria speranzosa, e basta che l'omone sorrida in maniera automatica per attaccare a razzo: - Furia cavallo del west! Che beve solo caffé!
Al suono di questa colonna sonora insolita, sale l'autista del 91. Un giovanotto dall'aria scorbutica, che apre lo sportelletto di vetro del suo posto di guida e si immerge subito nella lettura di un giornale sportivo.
- Speriamo che adesso si parte - commenta l'omone, facendo segno con la testa verso la cabina di guida. - Che c'è a chi gli piace prepararsi e c'è a chi gli piace tuffarsi, non so se mi spiego.
Il bambino intanto prosegue la sua esibizione. Purtroppo conosce pochissimo della canzone che vorrebbe cantare, e la frase "furia cavallo del west!" comincia a ripetersi in maniera molto allarmante.
- Dai, smettila Alessandro - propone ogni tanto la madre, con l'energia di chi è già rassegnato alla sconfitta.
Al terzo invito privo di convinzione, il signore in giacca e cravatta si alza per andarsi a sedere più lontano, con aria seccata.
L'omone gira su se stesso e si rivolge direttamente all'autista, sventolandosi il viso con il fazzoletto.
- Ma non parte, quest'autobus? E' un'ora che stiamo aspettando.
L'autista risponde senza girarsi e senza smuovere le pagine del suo giornale.
- L'autobus parte quando è ora di partire: alle 13 e 25. C'è una tabella di marcia che bisogna rispettare.
L'omone alza le spalle e si asciuga la fronte, che luccica vistosamente.
- Quando gli fa comodo, c'è la tabella di marcia - commenta in tono sarcastico, cercando lo sguardo della bella signora.
Il ragazzo asiatico mormora qualcosa di incomprensibile, facendo ridere le sue amiche come bambine.

(... continua)

Racconto pubblicato da Giulio Perrone Editore, nella raccolta dedicata a "L'Accidia", collana LAB.