domenica 5 luglio 2009

Voglia di lavorare


Diciotto luglio, tre e un quarto del pomeriggio. Piazza Ara Coeli, a Roma, è come un’isola circondata dal sole e dall’afa.
Due grossi autobus verdi, immobili nei rispettivi rettangoli del capolinea, sembrano capodogli abbandonati nel Sahara. L’autobus 91 è ancora vuoto.
Il primo passeggero a salire è un signore in giacca e cravatta, di età indefinibile, con una borsa da avvocato; il secondo e il terzo passeggero sono una signora piuttosto attraente col suo bambino; il quarto passeggero è un omone corpulento, che si siede sul proprio sedile con un grande sospiro.
L’omone ha scelto un posto che non è rivolto in avanti, verso il muso della vettura, ma è sistemato di traverso, faccia a faccia con un'altra fila di sedili. In questo modo ha esattamente di fronte la signora con il bambino, mentre alla sua destra, qualche sedile dopo, ha il signore con la borsa da avvocato.
- Che caldo terribile - dice l’omone a tutti, asciugandosi il collo con un fazzoletto di cotone. E' sulla sessantina e ha le maniche della camicia rimboccate, a scoprire le braccia ancora robuste. Alla signora chiede: - E' molto tempo che aspettate di partire?
La signora sorride timidamente. - Veramente sono salita solo da un paio di minuti.
L'omone annuisce e si rivolge all'uomo con la borsa da avvocato: - E lei? Sta aspettando da molto?
Il professionista risponde in tono asciutto.
- Io sono salito un attimo prima della signora.
- Ah.
C'è "ah" e "ah", e quello dell'omone non è un "ah" di soddisfazione. Si guarda un poco intorno, per valutare la situazione, dopodichè si rivolge di nuovo alla signora.
- Che bel bambino simpatico. Quanti anni ha?
Il bambino in questione, seduto a gambe penzoloni accanto alla mammina, comincia a battere i talloni contro la base del sedile.
La signora sorride e dice: - Quattro anni e mezzo - accarezzandogli la testa. Immediatamente il piccolo prende a battere i piedi ancora più forte.
- E come ti chiami, eh? - insiste l'omone, che sembra averci preso gusto.
Il bambino si protende in avanti e si gonfia come un rospo.
- Alessandro! - proclama, con voce stridula, facendo sussultare il signore con la borsa.
Salgono altri tre passeggeri: due ragazze dalla carnagione molto pallida e un ragazzo con gli occhi a mandorla. Prendono posto in tre sedili uno dietro l'altro, sul lato destro quasi in fondo alla vettura, e dal loro aspetto si capisce che sono stranieri.
L'omone li valuta con aria scettica, continuando a tamponarsi il sudore con il fazzoletto. Ha i primi due bottoni in alto della camicia bianca sbottonati e da sotto sporge il colletto di una canottiera.
- So la canzone di Furia - dichiara il figlio della signora, smettendo di battere i talloni.
L'omone dice: - Ah sì? Che bravo - e subito dopo aggiunge: - Ma non parte mai, quest'autobus? L'autista se ne è andato al bar, scommetto; mentre noi, qui, ci schiattiamo di caldo!
La lamentela è chiara, l'accusa pure. Si spandono dentro la vettura, con energia inaspettata, però non producono particolari risultati.
Nessun commento da parte del signore in giacca e cravatta, che tira fuori dalla sua borsa un quotidiano spiegazzato; soltanto un sorriso incerto dalla bella signora, che sposta lo sguardo verso un punto indefinito al di là dei finestrini; un paio di risatine prive di significato dalle due ragazze pallide e stato d'allerta da parte dell'amico asiatico, che le tiene d'occhio come un cane pastore con due pecorelle.
Solo il bambino riprende l'iniziativa.
- Ti canto la canzone di Furia, eh? - propone, con aria speranzosa, e basta che l'omone sorrida in maniera automatica per attaccare a razzo: - Furia cavallo del west! Che beve solo caffé!
Al suono di questa colonna sonora insolita, sale l'autista del 91. Un giovanotto dall'aria scorbutica, che apre lo sportelletto di vetro del suo posto di guida e si immerge subito nella lettura di un giornale sportivo.
- Speriamo che adesso si parte - commenta l'omone, facendo segno con la testa verso la cabina di guida. - Che c'è a chi gli piace prepararsi e c'è a chi gli piace tuffarsi, non so se mi spiego.
Il bambino intanto prosegue la sua esibizione. Purtroppo conosce pochissimo della canzone che vorrebbe cantare, e la frase "furia cavallo del west!" comincia a ripetersi in maniera molto allarmante.
- Dai, smettila Alessandro - propone ogni tanto la madre, con l'energia di chi è già rassegnato alla sconfitta.
Al terzo invito privo di convinzione, il signore in giacca e cravatta si alza per andarsi a sedere più lontano, con aria seccata.
L'omone gira su se stesso e si rivolge direttamente all'autista, sventolandosi il viso con il fazzoletto.
- Ma non parte, quest'autobus? E' un'ora che stiamo aspettando.
L'autista risponde senza girarsi e senza smuovere le pagine del suo giornale.
- L'autobus parte quando è ora di partire: alle 13 e 25. C'è una tabella di marcia che bisogna rispettare.
L'omone alza le spalle e si asciuga la fronte, che luccica vistosamente.
- Quando gli fa comodo, c'è la tabella di marcia - commenta in tono sarcastico, cercando lo sguardo della bella signora.
Il ragazzo asiatico mormora qualcosa di incomprensibile, facendo ridere le sue amiche come bambine.

(... continua)

Racconto pubblicato da Giulio Perrone Editore, nella raccolta dedicata a "L'Accidia", collana LAB.

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