
Visto dallo spioncino della mia porta d’ingresso, il viso di Alessio ha un’espressione ancora più buffa e perplessa del solito, che mi fa subito venire voglia di ridere. Fa appena in tempo ad allungare il braccio verso il pulsante del campanello, che già gli aperto la porta e l’ho tirato all’interno.
- Ciao - gli dico, cercando di essere languida.
- Ciao – risponde, sorridendo contento.
Lo abbraccio avvolgendolo tutto e lui si fa ancora più piccolo, come se fosse una vittima, al che io reagisco ridendo e baciandolo, tastandogli anche il sedere.
- Hum. Qui bisogna rimpolpare la zona con un po’ di ciccia buona – gli dico vicinissimo all’orecchio destro, che è ipersensibile al contatto.
- Qui invece mi sembra che il mio amichetto si senta benone – aggiungo, infilando la mia mano destra dentro i suoi pantaloni.
- Accidenti, lasciami riprendere un po’ di fiato. Ho fatto quindici piani a piedi – si lamenta lui.
Lo avvolgo ancora di più tra le mie braccia e faccio in modo che il suo viso entri nella mia scollatura. E’ un piccolo e tenero imbranato dall’erezione facile. Reagisce al mio contatto come se avessi un telecomando.
- E quindici piani non sono pochi. Mi sa che questo è il palazzo più alto di tutta Roma – dice.
Mi fa morire, quando fa così. Sto giocherellando col suo bastone completamente eretto e lui mi parla delle scale e del palazzo, come se fossimo al supermercato. Gli lecco l’orecchio destro e rabbrividisce in modo vistoso.
- Accidenti – ripete con fatica, visto che sono brava, e infila le mani sotto i miei vestiti.
Mi accarezza i fianchi, sotto la maglietta, e so che la mia gonna corta per lui è una grande tentazione. Infatti sorrido e ansimo, quando mi abbassa le mutandine con decisione. Chi altro al mondo direbbe “Accidenti”, mentre fa sesso in piedi?
- Aspetta. Ho da mangiare sul fuoco – lo blocco.
Aggrotta le sopracciglia.
- Cosa?
- Sto facendo bollire la pasta e ho le patate nel forno – gli spiego.
Fa un’espressione molto sorpresa.
- Patate? Io veramente mi stavo concentrando su una patatina soltanto.
Mi viene da ridere e mi copro la bocca con una mano; poi lo rimprovero puntandogli un dito contro.
- Signor Pellini… Mi meraviglio.
Avanza verso di me con fare complice e minaccioso.
- Signorina Cavasto… Lei ha bisogno di una buona lezione.
Spalanco la bocca e scuoto la testa.
- Oh! Che cosa vuole dire, signor Pellini? A cosa sta pensando?
Continua ad avanzare, più basso ed esile di me, da fare tenerezza, e mentre sorride come se fosse forte mi sento padrona della situazione.
- A darti una bella sculacciata – dice.
Povero illuso.
- Oh! Questa, poi! Si vergogni, signor Pellini! E poi dobbiamo mangiare, adesso. – Cambio tono di voce, sorridendo cordiale. – Anzi, datti una lavata alle mani e aiutami ad apparecchiare, per piacere.
Ci rimane male, ma neanche tanto. E’ proprio un bravo ragazzo.
- Okay. Vado nel bagno e torno.
Sì, caro. Vai. Intanto io mi gusto le mie sensazioni.
Assaggio gli spaghetti: ancora un paio di minuti.
Controllo le patate in forno: procede tutto ok.
Mi fermo un attimo e mi concentro sul mio corpo. Immagino le sue mani che mi separano le natiche e un dito che si immerge nei miei umori. Wow. Per ora basta. Sta ritornando.
- Eccomi qua. Che devo fare? – chiede.
- Prendi una tovaglia dentro quel cassetto e metti su quel tavolo due scodelle, due piatti, due bicchieri e così via. Va bene?
- Va bene, capo – approva.
Mangiamo chiacchierando e beviamo un po’ di vino rosso. Il vino rosso aiuta.
Mentre è impegnato a tagliare un pezzo di pollo, mi tiro giù le mutandine, restando seduta. Poso il sedere nudo sulla plastica della sedia e allargo le gambe, godendomi la sensazione di essere esposta.
Sorrido e lui mi guarda.
- Che c’è? – chiede.
- Niente. Mi sento bene. Ho una sensazione di fresco che mi piace.
Mi studia incuriosito. Il piano della tavola gli impedisce di vedere in che modo mi sono seduta, ma l’idea che possa abbassarsi e scoprirlo mi riempie di eccitazione.
Allunga una mano per toccarmi le dita: un po’ poco per le mie aspettative.
- Accidenti – sussurro, facendo cadere in terra il mio tovagliolo.
- Ci penso io – dice lui.
Si china per vedere dov’è finito e respiro più forte e chiudo gli occhi. Vedo la scena nel mio cervello. Lo immagino che mi scruta . Con grande lentezza richiudo e riapro le gambe. Riapro gli occhi e lui ancora non si è rialzato.
- Va tutto bene, lì sotto? – chiedo.
- Benissimo – risponde, e dopo un po’ lo sento che mi tocca.
- Devi finire di mangiare – lo prendo in giro.
- Lo so. E’ quello che sto facendo – dice.
Sorrido e chiudo di nuovo gli occhi. E’ un uomo dalla battuta pronta, e ciò mi piace.
Il piacere di provocarlo e di giocare alla puttana mi stimola il cervello come iniezioni elettriche; sento le scariche intorno all’inguine e lungo i fianchi.
Prova a toccarmi i seni e non mi piace. Li ho troppo piccoli, quasi inesistenti, e quando i capezzoli si inturgidiscono mi dà fastidio che diventino così vistosi.
- Io e Riccardo abbiamo parlato, ieri sera – dico. Lui continua a grufolare tra le mie cosce. – Mi ha chiesto di fissare la data per il matrimonio – aggiungo. Finalmente si ferma per ascoltare.
Passano i secondi e siccome non dico niente mi fa lui una domanda.
- E tu che gli hai detto?
- Gli ho detto che va bene. Ha trovato una chiesa che sembra adatta e che si libera per settembre. Che altro dovevo fare?
Silenzio. Riaffiora da sotto il tavolo e si rimette a sedere al suo posto.
Ha l’espressione pensierosa. Anzi, ha un’espressione preoccupata.
- A cosa stai pensando? – chiedo.
Fa una piccola smorfia e piega la testa da una parte.
- A niente.
- I miei genitori e i suoi spingono per il matrimonio da un sacco di tempo – spiego.
Annuisce e si rimette a tagliare il pollo.
- Mi sembra logico – dice.
Lo osservo portare il cibo in bocca e masticare. Mastica con molta attenzione; non è la reazione che mi aspettavo. Mi sento delusa.
- Ci sei rimasto male? – chiedo.
Scuote di nuovo la testa e continua a guardare nel piatto.
- E’ logico, l’ho detto. Lo sapevamo da sempre che doveva accadere. E poi cominciavo a stufarmi di fare tutto di nascosto. – Mastica un altro boccone. – All’inizio in ufficio era divertente, ma adesso comincia a darmi fastidio il fatto che nessuno capisca che noi stiamo insieme.
- La gente è cattiva - provo a spiegare. – Sai cosa direbbero.
- Senz’altro – sorride. – Ma anche noi non scherziamo. E salire quindici piani di scale per non fermare l’ascensore al tuo piano, dove potrebbe sentirlo il vicino, è un’altra cosa che non mi va più bene.
- Quel frocio è sempre attento a controllare che sale e chi scende. E’ amico dei miei genitori e non vorrei che gli raccontasse che ti ha visto entrare da me.
Annuisce con più convinzione e stavolta mi guarda.
- E’ quello che stavo dicendo. Comincia a darmi fastidio il fatto che nessuno deve sapere. E’ meglio farla finita adesso, piuttosto che le cose peggiorino. Se io avessi un amico in questa situazione, gli direi sicuramente di lasciare stare. Parliamoci chiaro: ti devi sposare.
Mi fai la morale, stronzo? Mi devo sposare sì, e lo sapevi bene.
Annuisco più volte e assumo un’aria dispiaciuta.
- Stasera però rimani? – chiedo, e lui irritato risponde: - Non mi sembra il caso.
Annuisco di nuovo e mi alzo.
- Sono stata cattiva – dico, sedendomi sulle sue ginocchia. Lui si innervosisce e prova a dire:
- Luisa, per favore…
- Chiamami Sara. Ti piace che dico di chiamarmi Sara, quando telefono a casa tua.
Non ribatte nulla e comincio a usare la mia voce da ragazzina.
- Pronto? Sono Sara. Potrei parlare con Alessio, per favore?
- Piantala – dice.
- Sara va bene, per chi divide casa col bravo Alessio. Va molto meglio di Luisa.
- Dai, piantala – insiste lui.
- Oh, scusa tanto... Sono davvero, davvero cattiva. - Mi alzo un po’ e carico ancora di più la voce. – Meriterei di essere sculacciata sul serio – e sollevo la mia gonna sul di dietro. – Qui, sul sederino tenero tenero.
Alessio prova ad allungare una mano e io gliela scanso.
- Signor Pellini! Il mio culetto è destinato a un altro uomo! Mi devo sposare, non ricorda? Non aveva detto che è meglio farla finita adesso?
Comincia a piagnucolare, pieno di desiderio.
- Fatti toccare – infatti dice.
Spalanco gli occhi, sbalordita.
- Toccare? Toccare che cosa? – Mi tiro un poco più su la gonna.
- Fatti toccare, per piacere – ormai mi implora.
Mi giro e lo lascio fare, senza che possa vedere il mio sorriso.
E’ in mio potere.
(racconto pubblicato da Giulio Perrone Editore, nella raccolta "La Lussuria", collana LAB)

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